Quando si pensa all’architettura, subito la mia immaginazione mi porta alle cattedrali gotiche. Certo è la mia fantasia, magari per qualcuno di voi possono essere i grattacieli, o la magnifica casa danzante di Gehry. Ma queste immagini hanno comunque un comun denominatore. La monumentalità.
La monumentalità, se vogliamo pensarla così, è un enigma, non la si crea intenzionalmente, si cerca di arrivare, ad arrivare a quella perfezione strutturale che la rende memorabile, che ne chiarisce forme ed esprime la logica della loro scala.
Non vi è un vero edificio che faccia da metro di misura per gli altri in caso di espressione monumentale. Essa non sta neanche nell’uso di determinati materiali che la rendano tale.
Dai templi greci ai tempi della Rivoluzione Industriale, sia le forme che i materiali sono totalmente differenti. Anche i più pregiati materiali possono o meno creare il mito della monumentalità. Credo che essa risieda in una qualità dell’architettura, nella parte più eterna e spirituale di una struttura, una qualità che si percepisce, secondo me, guardando il Partenone o il Salk Institute.
Vi è chi sostiene che il periodo storico che stiamo vivendo sia attanagliato da una squilibrata relatività, di cui è impossibile dare delle interpretazioni univoche. Per questo motivo, credo, molti architetti ritengono che non siamo mentalmente attrezzati per attribuire un carattere monumentale alle nostre costruzioni.
Guardando le strutture del passato, si riescono a percepire delle emozioni, amore, odio di coloro che l’hanno lasciata in eredità. Per questo motivo le immagini di monumentalità che il passato ci dà non potranno tornare in vita, ma conservano intensità e saggezza che possedevano al tempo. La replica fedele di un edificio monumentale è impossibile, ma non si possono dimenticare ciò che le strutture degli antichi impartiscono come lezioni, poiché loro sono i custodi delle grandezze che dovranno possedere, a modo loro, le nostre costruzioni future.
Giulia Nari
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